– Piove… –

– Davvero? –
– Si… –
Guardava fuori con lo sguardo perso nel vuoto. Aveva una cicatrice dentro, grande, immensa. La percepivo ogni volta che cadeva nel silenzio, in quel momento vedevo un muro fra lei e me, un silenzio che faticavo a spezzare. Era un istante infinito e faceva male come una lama nel petto. Mi ero innamorato di quel suo modo d’essere, ma non glielo avevo mai detto, mi limitavo ad incontrarla facendo finta di niente. Col tempo avevo colto tante sfumature, letto molto tra le righe, fissato quegli sguardi di bambina, vissuto quei momenti statici in cui sfuggiva e malgrado tutti i miei sforzi non avrei potuto raggiungerla in quell’angolo dove si rifugiava. Anche ora, non era più fisicamente con me in quella stanza: avrei dannatamente voluto dirle “lo so, so bene che stai male, ma io ci sono, se vuoi”, non ci riuscivo, le parole sfumavano ancor prima di arrivare alle labbra: la sua paura mi teneva lontano, quella sua cicatrice mi teneva lontano. Così lasciavo che il silenzio dominasse i nostri incontri, aspettando che fosse lei ad aprirmi la “porta”, pur sapendo che, forse, non lo avrebbe fatto mai.
Guardai oltre il vetro, nel punto dove stava guardando lei: ora si che pioveva davvero.©

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