Erotico (pt. II)

Man mano che tutti andavano via la constatazione di aver accettato un passaggio a casa da lui, mi rendeva sempre più nervosa.
Mi conoscevo troppo bene e sapevo che si sarebbe spinto oltre, lo avevo capito da come si comportava e da come mi guardava. Non solo, mi ero resa conto che aveva capito benissimo che quel suo modo di dire il mio nome era la mina delle mie emozioni.
Maledette guance, diventavano rosse.
Maledetti occhi, si dilatavano.
Quando mi porse il cappotto, mi venne quasi un infarto: la nostra distanza fino a quel momento gestibile, si sarebbe ridotta troppo e pericolosamente.
Ma il copione voleva che io facessi finta di niente, pure con le guance in fiamme e gli occhi dilatati.
Mi voltai e gli permisi di accompagnare il cappotto lungo le mie braccia.
Chinò la testa e mi sussurrò nelle orecchie “che buon profumo hai, Alessandra”
Non so come rimasi in piedi.
Come riuscii a mantenere le ginocchia tese, ma il respiro si spezzò e il cuore ebbe un sussulto.
Deglutii e cercando di evitare di respirare troppo forte, mi girai sfoderando ancora uno dei miei sorrisi più marcati aggiungendo un ‘grazie’.
Poi misi un piede avanti all’altro e cominciai a camminare verso l’uscita del ristorante.
Stavo per capitolare, ormai era palese, ormai ero sua.
Lo sentivo dietro di me, silenzioso.
Salutammo tutti nel parcheggio, tra risate e battute, rumori di portiere che si aprivano, bip di allarmi e motori accesi. Poi ci fu il silenzio.
Eravamo rimasti solo noi.
Lo vidi tirar fuori dalle tasche le chiavi della sua macchina “Vieni, ti accompagno a casa, Alessandra”
‘Oh ti prego non chiamarmi più!’ pensai, mentre lo seguivo come un automa.
Aprii lo sportello e salii, sistemando la borsa tra le gambe.
Fu in quel momento che sentii la sua mano sul ginocchio: si avvicinò velocemente e con l’altra mano raggiunse la borsa. Ora avevo il suo viso praticamente ad un soffio dal mio.
“Non stare scomoda, Alessandra… mettiamola nel sedile posteriore.”
Che avrei potuto rispondere? Niente… non potevo: avevo il cuore in gola e una voglia matta di baciarlo senza più fermarmi.
E lui, tranquillamente, mise la borsa sul sedile posteriore, mi sorrise e avviò il motore. L’autoradio si accese in automatico e le note di un pezzo soft jazz riempirono l’abitacolo.
Ero bagnata. Lo sentivo chiaramente, la sentivo pulsare, spasmodica.
Dovevo obbedire agli impulsi, mi soffocavano, ero single da troppo tempo, da troppo tempo in attesa di un Uomo che di maschi ne avevo abbastanza.
Con quei suoi riccioli brizzolati, i suoi occhi azzurri, il suo volto segnato dal tempo, era semplicemente quel lui, quel brivido che aspettavo.
“Vuoi venire a bere qualcosa su da me?”©

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